Il costo invisibile del lavoro da remoto (e perché non è quello che pensate)

Oltre l'efficienza: riflessioni su osmosi, fiducia e il rischio di isolamento professionale nel mondo post-2020.

C’è una scena che mi torna in mente spesso, quasi come un loop nostalgico che però nasconde una punta di fastidio. Siamo nel 2019, l’ufficio è quello vecchio, un po’ troppo rumoroso, con quella luce al neon che ogni tanto sfarfallava. Sono alla scrivania, sto cercando di capire perché una roadmap non sta in piedi, e a pochi metri da me sento due colleghi discutere di un bug critico. Non sono nel mio team diretto, non è un problema mio. Eppure, sentendo il tono della voce e le parole che rimbalzano tra i muri, capisco che stanno andando fuori strada.

Mi alzo, vado lì con il caffè in mano, ascolto trenta secondi e dico: "Ragazzi, guardate che quella dipendenza l'abbiamo già gestita l'anno scorso in questo modo". Problema risolto in tre minuti. Nessun meeting, nessuna notifica su Slack, nessuna email con oggetto "URGENTE". Solo vicinanza.

Oggi, in Boolean, siamo i primi sostenitori della flessibilità. Lo smart working è una conquista di civiltà, un pezzo di libertà che non restituirei mai indietro. Eppure, da CPO, sento che quel momento di "intromissione salvifica" è diventato quasi impossibile. Se oggi quei due colleghi discutono di un bug, lo fanno in una call privata. Io non li sento. Il junior seduto accanto a loro non li sente. E quella conoscenza, quella piccola scintilla di esperienza trasmessa per caso, svanisce nel nulla.

Siamo tutti più efficienti, ma siamo diventati professionalmente più isolati. E il costo di questo isolamento non si vede nei report di fine mese, ma si vedrà tra tre anni, quando ci chiederemo perché i nostri nuovi leader non sembrano "pronti" come quelli di una volta.

Ufficio moderno vuoto
L'ufficio non è solo scrivanie, è un ecosistema di informazioni casuali.

L'apprendimento per osmosi: quello che Zoom ci ha tolto

Il primo grande costo invisibile è la fine dell'apprendimento passivo. Nel mondo tech, abbiamo questa idea un po’ ingegneristica che la formazione sia un processo lineare: leggi la documentazione, fai il corso, ricevi il feedback sulla Pull Request. Fine.

Ma chi fa questo mestiere da un po' sa che non è così. La parte più preziosa della nostra crescita professionale è avvenuta "per osmosi". Hai imparato a gestire un cliente difficile ascoltando il tuo manager che parlava al telefono mentre tu facevi altro. Hai imparato a negoziare una deadline osservando il linguaggio del corpo di un Senior Product Manager durante una riunione tesa. Hai imparato a dare priorità ai problemi notando cosa faceva scattare sulla sedia il tuo CTO.

Su Zoom, tutto questo scompare. L’interazione è atomizzata. Iniziamo la call, discutiamo l’ordine del giorno, chiudiamo la call. Tutto quello che sta "nel mezzo" — il pre-meeting in corridoio, il post-meeting davanti all'ascensore — è stato tagliato via in nome dell'efficienza.

Il problema è che proprio in quel "mezzo" risiede la cultura aziendale. Senza l'osmosi, i nuovi arrivati (specialmente i più giovani) si trovano a operare in un vuoto pneumatico. Hanno i task, hanno le scadenze, ma non hanno il contesto. Non sanno perché prendiamo certe decisioni. Vedono il risultato, ma non vedono il processo mentale, i dubbi e le limature che ci hanno portato fin lì. È come cercare di imparare a cucinare leggendo solo l'elenco degli ingredienti senza mai vedere uno chef all'opera.

La velocità della fiducia e il peso delle lavagne scarabocchiate

C’è un concetto che mi sta molto a cuore: la velocità della fiducia. Quando conosci bene le persone con cui lavori, quando hai condiviso con loro non solo i successi ma anche i panini tristi della mensa o le birre dopo l’ufficio, la comunicazione cambia. Diventa più veloce, meno formale, più onesta.

A distanza, la fiducia si costruisce in tempi biblici. Ogni feedback scritto su Slack rischia di essere frainteso. Se scrivo "Questo approccio non mi convince", chi riceve il messaggio non vede il mio sorriso rassicurante o il mio tono di voce collaborativo. Vede solo un muro di testo che può sembrare un attacco. E allora inizia la danza dei chiarimenti, dei "non intendevo dire questo", delle call per scusarsi.

In ufficio, davanti a una lavagna bianca, il conflitto creativo è un carburante. Scarabocchiamo, cancelliamo, ci interrompiamo. È un processo disordinato, quasi viscerale, che porta a soluzioni che una board di FigJam raramente riesce a replicare con la stessa intensità.

Persone che lavorano a una lavagna
La lavagna: il miglior software di design esistente.
Gente che ride in ufficio
Fiducia = (Tempo trascorso + Birre) / Formalità.

Il paradosso generazionale: il Senior sereno e il Junior affamato

Qui entriamo in un terreno scivoloso, dove è facile essere fraintesi. Lo dico chiaramente: io capisco perfettamente il Senior Developer o il Lead Designer che vuole lavorare da casa. Hanno quarant'anni, una famiglia, una casa confortevole, sanno già cosa fare e hanno una rete di contatti consolidata. Per loro l'ufficio è, spesso, solo una distrazione. Sono produttivi, sono felici, e onestamente non hanno molto da guadagnare nel fare due ore di traffico.

Ma che ne è del Junior di 22 anni che ha appena iniziato? Per lui (o per lei), il lavoro da remoto è una trappola dorata. Certo, risparmia sull'affitto e può lavorare in pigiama, ma sta perdendo l'opportunità di formare la propria identità professionale. Non vede come si muovono i grandi, non riceve quei feedback informali che arrivano mentre si cammina verso il bar, non vive l'energia di un team che lotta insieme per un obiettivo.

Ho visto persone brillanti bloccarsi nel loro percorso di crescita perché, lavorando solo da casa, erano diventate dei "trasformatori di ticket". Ricevono un input, producono un output. Ma la leadership non è questo. La leadership è capacità di influenzare, è visione, è gestione delle persone. E queste sono soft skill che si sviluppano per imitazione e per esposizione costante ad altri esseri umani.

Errori comuni: l'ufficio come luogo di controllo

Sia chiaro: non sto chiedendo di tornare al 2019. L'errore più grande che molti manager stanno facendo oggi è il "mandato di rientro" senza una logica di valore. Se costringi le persone a venire in ufficio per poi farle stare tutto il giorno in call su Teams con le cuffie antirumore, hai fallito.

  • Misurare la presenza invece dell'impatto: Pensare che se vedo qualcuno alla scrivania allora sta lavorando bene.
  • Non cambiare il layout degli spazi: Servono meno scrivanie singole e più aree lounge e tavoli alti da stand-up.
  • Trattare il remoto come una concessione: Lo smart working è un pilastro moderno, non un regalo.

Limiti e caveat: la verità fa male

Sarei poco onesto se non ammettessi che ci sono dei limiti enormi in quello che dico. Innanzitutto, l'ufficio ha un costo umano pazzesco. Il tempo passato in treno o in auto è tempo sottratto alla vita. Inoltre, la vicinanza fisica non garantisce automaticamente la collaborazione. Esistono uffici tossici dove, pur stando gomito a gomito, la gente non si parla.

Conclusione: Verso un nuovo patto professionale

Non ho ricette magiche. In Boolean ci interroghiamo ogni giorno su come mantenere viva la densità dello scambio senza sacrificare l'autonomia che tutti amiamo. Quello che so per certo è che dobbiamo smettere di parlare di produttività e iniziare a parlare di potenziale.

Il lavoro non è solo "fare cose". Il lavoro è appartenenza, crescita, scontro, evoluzione. Se trasformiamo tutto in una sequenza di task asincroni, stiamo svuotando la nostra professione della sua componente più elettrizzante.

Cosa offrite (o cosa ricevete) quando siete fisicamente insieme che giustifichi il disturbo di uscire di casa? Vi aspetto nei commenti.

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